FAMIGLIA LEGNANESE e CENTRO CULTURALE SAN MAGNO
Conferenza presso Fondazione Famiglia Legnanese del 10 dicembre 2019
IL DIALOGO CRISTIANO-EBRAICO DOPO NOSTRA ÆTATE
UN TRATTINO INTERESSANTE
Nell’espressione dialogo cristiano-ebraico mi sembra di cogliere un senso difficile da definire adeguatamente: il trattino che lega i due aggettivi ha un carattere intrigante e interessante che l’uso, anche se ha un’origine recente, tende a far dimenticare. Questa espressione, infatti, è entrata timidamente nel linguaggio delle Chiese cristiane solo intorno agli anni ’70, certamente sotto la spinta della Dichiarazione Nostra ætate (28 ottobre1965).
Anche i Padri conciliari, che approvarono il paragrafo 4 di Nostra ætate, forse non si resero conto pienamente di ciò che avrebbero suscitato inserendo nel testo questo passaggio1:
Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.
Tuttavia si deve riconoscere che il termine «dialogo» emerge progressivamente all’interno di un cammino che ha il suo momento di partenza nei Dieci Punti di Seelisberg, un documento indirizzato a tutte le Chiese che segna una svolta storica maturata nel contesto della Conferenza internazionale ebraico-cristiana contro l’antisemitismo, tenutasi nella città svizzera il 5 agosto 19472.
Questo documento fu seguito da altre dichiarazioni, in particolare dal documento della prima assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese sull’atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei (Amsterdam 1948)3, dalle Tesi di Bad Schwalbach (1950)4, redatte da teologi cattolici e protestanti, dalla risoluzione della terza assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese dedicata al tema dell’antisemitismo (Nuova Delhi 1961)5 e dalla dichiarazione sul tema Chiesa e antisemitismo da parte della Federazione luterana mondiale (Løgumkloster 1964)6.
Dall’epoca della separazione tra Chiesa e Sinagoga, il cosiddetto protoscisma, nella prima metà del II secolo, i cristiani non hanno mai neppure osato immaginare di poter parlare di dialogo cristiano-ebraico, poiché tra loro ha dominato sempre e solo un atteggiamento di «disprezzo» nei confronti degli ebrei. Tanto che lo stesso Jules Isaac (1867-1963), uno storico ebreo di nazionalità francese, bussando alle porte del Vaticano il 13 giugno 1960 per incontrare Giovanni XXIII, forse non riusciva a immaginare l’inizio di un dialogo tra ebrei e cristiani, nonostante la sua ricerca seria e appassionata. Si presentava, infatti, nelle vesti del perseguitato, della vittima di un antigiudaismo purtroppo di casa tra i cristiani ormai da quasi venti secoli: non riusciva neppure a pronunciare il temine «dialogo» e forse non osava neppure pensare alla possibilità di un dialogo tra ebrei e cristiani. Osava però invocare con forza e con fiducia la fine dell’insegnamento del disprezzo e dell’odio.
Giovanni XXIII nella celebrazione del venerdì santo 1959, presieduta da lui stesso, aveva fatto togliere dalla preghiera universale per gli ebrei i termini perfidus (= non credente in Cristo) e perfidia judaica7.
Nel 1970, quando papa Paolo VI introdusse la nuova liturgia, la preghiera fu modificata nel modo seguente:
Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio Onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della Redenzione.
Il vincolo particolare che lega la Chiesa al popolo ebraico, il testo di Nosta ætate n.4 afferma che la Chiesa ha ricevuto dal popolo ebraico quello che i cristiani chiamano l’Antico Testamento. Si dovrebbe affermare, più precisamente che la Chiesa ha ricevuto l’Antico e il Nuovo Testamento e che insieme con la Scrittura ha ricevuto anche i metodi di interpretazione.
Il carattere innovatore di Nostra ætate n.4 non sta solo nei contenuti frutto di travagliati compromessi, ma nel movimento irreversibile che la dichiarazione ha suscitato e di cui sono testimonianza i documenti seguenti. La promulgazione di questo testo fu seguita, in ambito cristiano e in ambito ebraico, da commenti positivi per ciò che di nuovo esso rappresentava nell’insegnamento della Chiesa cattolica, ma anche da critiche per ciò che esso aveva tralasciato di dire, per il silenzio su alcuni temi fondamentali come la Shoah, la terra di Israele, le responsabilità dei cristiani nel secolare antigiudaismo. Bisognerà attendere il 1998 per un documento sulla Shoà – Noi ricordiamo -, il 12 marzo del 2000 perché Giovanni Paolo II chieda perdono a causa delle colpe dei cristiani che nel passato hanno perseguitato gli ebrei, un gesto seguito il 26 marzo dalla sua visita e dall’inserimento tra le pietre del Kotel ha-ma‘aravi, il muro occidentale, secondo un uso tipicamente ebraico, di un biglietto con una richiesta di perdono. Questo il testo:
Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza.
Il cammino aperto e suscitato da Nostra ætate ha avuto risonanze anche nelle chiese particolari, come è testimoniato dai documenti che esse hanno espresso nel decennio immediatamente seguente precorrendo le successive prese di posizione vaticane. Nello stesso periodo anche le altre chiese cristiane, attraverso i loro Sinodi, rivelano una presa di coscienza crescente dell’irrinunciabilità del rapporto con l’ebraismo nella definizione della loro identità. Questa progressiva consapevolezza ha continuato a manifestarsi anche nei decenni seguenti.
Richiamo solo qualche documento a titolo esemplificativo. Nella Dichiarazione di pentimento della Chiesa francese (1997)8, seguita dal documento della Conferenza nazionale dei vescovi degli USA (1998) – la richiesta di perdono è espressa in una forma molto chiara9.
Sull’importanza di una conversione dei cristiani nei confronti dell’ebraismo si sono espressi negli stessi anni il Sinodo regionale della chiesa evangelico – luterana della Baviera (1997) e il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste (1998).
Nel 1997 la Chiesa Regionale della Baviera è giunta ad istituire una commissione con il compito di occuparsi del rapporto tra cristiani ed ebrei. Nel Sinodo dell’autunno del 1998 venne poi rilasciata una dichiarazione fondamentale, che inizia con queste parole:
La questione del rapporto tra cristiani ed ebrei ci conduce nel cuore della fede cristiana: la fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che noi cristiani confessiamo come padre di Gesù Cristo, unisce cristiani ed ebrei. Non si tratta di una questione che giunge alla Chiesa dall’esterno, ma di una domanda di vita centrale per la Chiesa e la teologia. Siccome Gesù di Nazareth apparteneva al popolo ebraico ed era radicato nelle sue tradizioni religiose, attraverso il loro confessare Gesù Cristo i cristiani acquistano un particolare rapporto con gli ebrei e la loro fede, che si distingue dal rapporto con le altre religioni10.
Non si può non ricordare, nonostante la mancanza di ogni riferimento a ciò che le affermazioni in essa contenute comportano per la vita delle Chiese, il documento elaborato dalla Conferenza della Chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee nel 1999, la Charta Oecumenica: il n.10 ha come titolo «Approfondire la comunione conl’ebraismo»:
Una speciale comunione ci lega al popolo d’Israele, con il quale Dio ha stipulato una eterna alleanza. Sappiamo nella fede che le nostre sorelle ed i nostri fratelli ebrei “sono amati (da Dio), a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11,28-29). […] Noi deploriamo e condanniamo tutte le manifestazioni di antisemitismo, i “pogrom”, le persecuzioni. Per l’antigiudaismo in ambito cristiano chiediamo a Dio il perdono e alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ebrei il dono della riconciliazione. È urgente e necessario far prendere coscienza, nell’annuncio e nell’insegnamento, nella dottrina e nella vita delle nostre Chiese, del profondo legame esistente tra la fede cristiana e l’ebraismo e sostenere la collaborazione tra cristiani ed ebrei.
LE FIGURE E I LUOGHI DEL DIALOGO
Forse la presentazione sommaria di alcuni documenti delle chiese cristiane potrebbe far apparire il dialogo cristiano-ebraico come un fatto anzitutto, o addirittura esclusivamente, istituzionale. In realtà, occorre sottolineare con forza, come precisa Amos Luzzatto, che «il dialogo lo fanno gli uomini», ossia «persone con le loro esperienze storiche, psicologiche, che nel corso della vita hanno incontrato occasioni di crisi, talvolta di tensione con i loro stessi convincimenti, con tanti punti interrogativi a cui rispondere»11.
A Milano, agli inizi degli anni Novanta – scrive G. Bottoni – Paolo De Benedetti, Ada Janes e io ci facemmo promotori di un piccolo gruppo che, con finalità esclusivamente pastorali, cercasse di favorire nelle comunità ecclesiali un doveroso processo di revisione della mentalità cristiana in rapporto all’ebraismo. Fin dagli inizi si fece in modo che il gruppo potesse avere una composizione interconfessionale: tra i primi vi aderirono il pastore luterano Holger Banse, il valdese Gioachino Pistone e il cattolico Renzo Fabris, che poi ci lasciò per la Gerusalemme celeste12.
Secondo ElenaBartolini, docente di Giudaismo, «gli inizi del dialogo fra cristiani ed ebrei in Italia si potrebbero simbolicamente raffigurare a partire da un provvidenziale – quanto casuale – incontro fra lo stesso FabriseravEliaKopciowski, futuro rabbino capo a Milano, avvenuto durante un viaggio …verso Israele nel luglio del 1958»13.
È di Fabris la prima intuizione circa l’importanza dell’istituzione di una giornata dedicata a richiamare continuamente la memoria della «realtà vivificante dell’incontro tra le chiese e il popolo d’Israele» (1983, durante la Sessione di formazione ecumenica organizzata dal SAE).
Questa giornata sarà istituita dalla CEI nel settembre del 1989 e dal 1990 celebrata ogni anno il 17 gennaio come Giornata per l ’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. La CEI trovò sin da subito l’adesione dell’Assemblea Rabbinica Italiana. La data scelta, proprio alla vigilia della Settimana per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), non è certamente casuale perché sottolinea in modo profetico che il cammino di unità tra i cristiani può nascere solo a partire da una riscoperta del loro legame intrinseco e vitale con l’ebraismo14.
Ricordiamo in modo particolare due figure il cui dialogo fraterno, a partire da Milano, ha avuto risonanze vaste e feconde in tutta l’Europa e nel mondo: rav Giuseppe Laras, rabbino capo di Milano dal 1980 al 2005, e il card. Carlo M. Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002.
Alla figura del card. Martini, alla sua statura intellettuale, alla sua competenza biblica, ai suoi rapporti internazionali e al suo magistero si deve la crescita della diocesi di Milano come luogo particolarmente significativo del dialogo cristiano-ebraico. Lo documentano il rapporto costante e cordiale con l’allora rabbino capo di Milano rav Giuseppe Laras, la cui leale e tenace fiducia nel dialogo con il mondo cristiano deve essere certamente riconosciuta, oltre che i suoi interventi a due voci. Gli anni di presidenza del card. Martini della Conferenza Episcopale Europea (CEE) hanno contribuito enormemente alla sensibilizzazione degli episcopati cattolici circa l’importanza del dialogo ebraico-cristiano.
Se è certamente vero che il «dialogo lo fanno gli uomini», è altrettanto vero che alcune figure, con le loro intuizioni originali e con la loro passione per il dialogo, hanno dato vita a esperienze, a incontri e, soprattutto, ad una ricerca condivisa che ha trovato diverse forme di espressione. Perciò accanto alle figure è importante ricordare i «luoghi» in cui il dialogo cristiano-ebraico ha potuto trovare uno spazio per essere concretamente vissuto e per crescere. Si deve peraltro riconoscere che questi ambienti, in cui la riflessione si è sviluppata e approfondita, hanno avuto e per tanti aspetti continuano ad avere un carattere borderline perché il dialogo cristiano-ebraico, con la novità di approccio e di linguaggio che esso comporta, fa tuttora fatica ad essere recepito nella base delle chiese e negli stessi pastori.
Le Amicizie ebraico-cristiane sono sorte come libere associazioni di persone che intendono promuovere e approfondire la conoscenza e l’amicizia tra ebrei e cristiani, nel riconoscimento e nel rispetto della loro diversa identità e nella rinunzia a qualsiasi forma di proselitismo. La prima associazione fondata in Italia è quella di Firenze, che è anche una delle prime nate in Europa (1950): essa nasce in seguito a un incontro di Giorgio La Pira con Jules Isaac. Il primo gruppo di Amitié judéo-chrétienne [Amicizia ebraico-cristiana] si era costituito a Lione nei primi mesi del 1947 e nel 1948 era uscita la pubblicazione di Jésus et Israël da parte di J. Isaac.15 L’Amicizia ebraico-cristiana francese, certamente tra le più creative e qualificate d’Europa, edita l’importante rivista Sens con contributi interessanti e con un’attenta documentazione16.
L’Associazione culturale QOL, che ha sede a Novellara (RE), costituisce ormai da ventidue anni, sia attraverso la rivista che ha lo stesso nome che attraverso le attività che promuove, una voce significativa nel dialogo cristiano-ebraico: qôl, infatti, è un termine ebraico che significa appunto voce. Essa intende essere uno spazio di dialogo interreligioso ebraico-cristiano-musulmano, nel quale tutte le voci possano esprimersi in totale libertà affinché il dialogo interreligioso non sia messo a tacere dalla violenza che scuote il nostro tempo, finendo per arrendersi alla perversa logica dello «scontro di civiltà».
La Libreria Claudiana di Milano è una libreria valdese che ha sviluppato da oltre un decennio un ampio settore di pubblicazioni riguardanti il mondo ebraico: dai testi della tradizione di Israele ai saggi storici, dalle grammatiche alla narrativa, fino alle problematiche del dialogo cristiano-ebraico. Dall’autunno 1995 ha attivato un corso di ebraico biblico, diretto da Elena Bartolini.
Il Centro culturale S.Fedele e la Fondazione Carlo Maria Martini, animati dalla comunità dei gesuiti di Milano, che risiede presso l’omonima chiesa parrocchiale, da alcuni anni, in collaborazione con il centro culturale ebraico Fondazione Maimonide, hanno inserito tra le loro molteplici attività una lettura biblica a due voci, cristiana ed ebraica, tenuta da diversi rabbini e cristiani, sia cattolici sia riformati.
Il Gruppo interconfessionale Teshuvà, nato Milano agli inizi degli anni novanta, è composto da un piccolo gruppo di credenti di diverse confessioni cristiane. Il gruppo si è presentato alla seconda Assemblea ecumenica europea di Graz (23-29 giugno 1997) con una lettera intitolata «Domande per una Teshuvà [conversione] dei cristiani nei confronti dell’ebraismo» che esordisce così:
Siamo cattolici e protestanti impegnati all’interno delle rispettive comunità per un processo di riconciliazione e di ravvedimento delle chiese cristiane nei confronti dell’ebraismo. Da alcuni anni lavoriamo assieme, convinti che tale processo possa (o forse debba) essere il banco di prova e di verifica del dialogo ecumenico intra-cristiano.
In questi momenti non abbiamo potuto non chiederci perché le nostre chiese non abbiano ancora fatto una confessione di peccato chiara e aperta per le calunnie, l’odio, le persecuzioni di cui esse si sono rese protagoniste nei confronti del popolo d’Israele nel corso dei due millenni della loro storia e per i silenzi, le connivenze e le responsabilità che hanno accumulato durante gli anni orribili della Shoah.
I Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli sono nati dall’attenzione alla tradizione viva d’Israele presente nell’ecumenismo camaldolese.
Affrontando il problema della Costituzione europea, la Chiesa cattolica, ha sottolineato con insistenza l’importanza di inserirvi un richiamo alle radici ebraico-cristiane dell’Europa. Ancora una volta «il trattino», che sembra unire ebrei e cristiani, si presenta intrigante. Su questo tema rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, si è espresso così:
Non abbiamo ad esempio condiviso l’insistente richiesta cattolica di un richiamo alle radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea, perché non è con un trattino tra giudaico e cristiano che si risolve il problema di ciò che abbiamo in comune e di ciò che possiamo dare agli altri; e anche perché, memori della nostra storia, non potevamo dimenticare che di quelle radici cristiane gli ebrei avevano spesso conosciuto i frutti amari. Sarebbe stato molto più utile un confronto preliminare tra i due mondi su questo tema. Credo che se combattiamo insieme per qualche cosa convinti di avere ciascuno un suo ruolo, e senza essere soltanto trascinati dall’altro, la nostra forza verso il mondo diventa enorme17
1 CONCILIO VATICANO II, Nostra ætate. Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, 28 Ottobre 1965, in Enchiridion Vaticanum, vol.1, EDB, Bologna 161997, nn.861-868. I documenti del Concilio Vaticano II sono stati riediti nella «edizione del cinquantesimo», con la postfazione del teologo Christoph Theobald, dalle EDB, Bologna 2012, mantenendo la stessa numerazione dei paragrafi.
2 Cfr. M. Bombelli, L’albero le radici e le fronde, Castellanza 2016, 121. L. SESTIERI – G. CERETI (edd.), Le chiese cristiane e l’ebraismo: 1947-1982, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, 1-3.
3 L. SESTIERI – G. CERETI, 4-8.
4 L. SESTIERI – G. CERETI, 13-16.
5 L. SESTIERI – G. CERETI, 24-25.
6 L. SESTIERI – G. CERETI, 63-64.
7 Il testo dell’invocazione presente nell’edizione del Missale Romanum del 1570 suonava così: Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Così modificato: Oremus et pro Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui Judaeos etiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut,agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur
8 Il testo si può trovare in www.nostreradici.it
9 Questo testo si può trovare sul sito della United States Conference of Catholic Bishops: www.nccbuscc.org
10 Il testo integrale della interessante relazione si può trovare in www.santegidio.org [München 2011].
11 A. LUZZATTO, Attese ebraiche dal mondo cristiano, in P. STEFANI (ed.), Ebrei e cristiani: duemila anni di storia. La sfida del dialogo (Ecumenismo e dialogo), Paoline, Milano 22009, 283-296, qui 287.
12 G. BOTTONI, «Nota introduttiva», in G. BOTTONI – L. NASON (edd.), Secondo le Scritture, 10-11.
13 B. SALVARANI, Renzo Fabris. Una vita per il dialogo cristiano – ebraico, EMI, Bologna 2009, 69-70.
14 Altre figure meriterebbero di essere ricordate: da Paolo De Benedetti al pastore e teologo riformato svizzero Martin Cunz, al biblista gesuita Francesco Rossi De Gasperis, a padre Benedetto Calati, abate di Camaldoli, a Tommaso Federici, Paolo Sacchi, Pietro Rossano, Pier Francesco Fumagalli, Clemente Riva, Bruno Forte, Francesco Coccopalmerio, Gianantonio Borgonovo, Carmine Di Sante, Carlo Molari, Daniele Garrone, Gabriele Boccaccini, Massimo Giuliani, Elena Bartolini, Piero Stefani, Guido Bertagna e Lino Dan, entrambi promotori e organizzatori della Lettura a due voci del Centro Culturale S. Fedele, Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli, Maria Cristina Bartolomei.
15 J. ISAAC, Gesù e Israele, Marietti, Genova 22001 (prima edizione italiana: Nardini, Firenze 1986; edizione originale: Jésus et Israël, Fasquelle, Paris 1948, 1959²).
16 Per una conoscenza di questa rivista si veda il sito: www.ajcf.fr
17 R. DI SEGNI, «Progressi e difficoltà del dialogo dal punto di vista ebraico», in N.J. HOFMANN – J. SIEVERS –
M. MOTTOLESE (edd.), Chiesa ed ebraismo oggi. percorsi fatti, questioni aperte, Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2005, 19-29, qui 26 e 20.
di seguito alcune foto della serata