
LE RELIGIONI COSTRUISCONO PONTI NON MURI
Vorrei iniziare questo mio intervento con le parole che il principe El Hassan Bin Talal di Giordania (fondatore e presidente dell’Istituto reale per gli studiinterreligiosi Ed Kassler) ha usato in una recente intervista: Il cristianesimo è stato parte del tessuto del Medio Oriente per duemila anni. Lungi dall’essere un’importazione occidentale, è nato qui ed è stato esportato come un dono per il resto del mondo. Le comunità cristiane sono state parte intrinseca dello sviluppo della civiltà araba. […].
La ricerca della purezza religiosa costituisce una minaccia universale. I fondamentalismi mostrano un particolare odio per i loro corregionali le cui opinioni non sono conformi alle loro. […].
Contribuire a porre fine a questa caduta pericolosa nell’odio, nell’autodistruzione e nel conflitto fratricida diventa la sfida principale per tutti noi coinvolti nel dialogo interreligioso. […].
È ora di porre fine all’odio e alle atrocità che stanno causando convulsioni nella nostra regione e oltre. La pace e l’umanità stessa dipendono dal successo di questo esercizio interreligioso. È molto importante (pubblicata su www.didatticaermeneutica.it, con il titolo: Il dialogo tra le fedi per fermare l’odio).
Questo è lo sfondo sul quale intendo muovermi e dal quale partire per ragionare sul tema della Religione come realtà capace di creare ponti e non innalzare muri.
Compirò una riflessione presentando il tema della religione, considerare il ruolo che essa svolge in una società secolarizzata, quale la sua funzione pubblica e, da ultimo, quale il riconoscimentoche le si deve nella realtà sociale.
Riporto fin da subito le parole di uno dei maggiori sociologi della religione statunitense: José CASANOVA (spagnolod’origine, Saragozza, nella regione di Aragona): Le teorie della modernità, della politica moderna e dell’azione collettiva che ignorano sistematicamente la dimensione pubblica della religione moderna sono destinate ad essere teorie incomplete. (dall’Introduzione al suo ormai famoso libro: Oltre lasecolarizzazione. La religione alla riconquista della sfera pubblica del 1994, tradotto in italiano nel 2000 da Il Mulino). E, sempre in questo testo, nelle ultime battute della conclusione scrive: La modernità occidentale è a un bivio. Se non instaurerà un dialogo creativo con l’altro, con quelle tradizioni che stanno sfidando la sua identità, la modernità probabilmente trionferà. È anche possibile, però, che finisca divorata dalla logica inflessibile e inumana delle sue stesse creature. Sarebbe profondamente ironico se, dopo tutte le sconfitte che ha subito dalla modernità, la religione finisse per aiutare la modernità – al di là delle proprie intenzioni – a salvare se stessa.
Casanova mette ben a fuoco il problema: 1. Il ruolo pubblico della religione nell’epoca moderna, e 2. La fragile condizione della stessa modernità nella sopravvivenza a se stessa. Condizione debole, che paradossalmente ha bisogno di essere aiutata da chi dalla modernità è stata negata, addirittura rifiutata: la religione.
Quale deve essere, allora, il ruolo della religione nell’attuale società secolarizzata?
Senza dubbio l’interesse è dettato dal protagonismo politico che le religioni hanno avuto a livello mondiale negli ultimi decenni. Anche se, lo diciamo subito per onestà intellettuale, limitarsi a pensare che la rinascita di interesse per questo rapporto tra religione e sfera pubblica sia determinata da una contingenza storica, significherebbe non cogliere appieno la portata e la sfida che la nostra situazione pone alla riflessione nel suo complesso.
In questo rapporto è infatti in gioco non solo il problema della legittimità o meno della presenza della religione nella sfera politica, ma anche più profondamente il senso stesso che possiamo dare all’idea di secolarizzazione come categoria centrale per comprendere la modernità.
Che si tratti di una sfida lo dimostra il fatto che questo ritorno del tema è avvenuto in un contesto fortemente polemico. Secolarizzazione e laicità sono le due parole d’ordine risuonate costantemente di fronte alla violenza religiosa. Dopo i fatti degli attentati di Parigi (gennaio 2015, Bataclan) e Nizza (luglio 2016, Promenade des Anglais). In quel contesto i termini sono stati usati come un bastione contro quello che è stato considerato un attacco ai valori democratici occidentali.
Tuttavia questa riattivazione dello spirito secolare deve fare i conti con una situazione paradossale, perché si trova a convivere da un po’ di tempo con la sempre più forte convinzione di chi critica la secolarizzazione e la considera un concetto ormai privo di capacità euristica (traduciamo con capacità di trovare, scoprire).
Non entro nelle analisi sociologiche e filosofiche sulla «fine» della secolarizzazione come falso concetto della modernità. [Tant’è vero che oggi si parla di fase post-secolare, in un contesto di post-modernità, come ambito della rinascita religiosa].
Richiamo solamente tre filoni di pensiero a questo proposito:
1. La rinascita del religioso non è altro che una rivincita contro l’ideologia anti-religiosa, dopo la parentesi chiusa della secolarizzazione, ciò che illusoriamente la modernità aveva pensato di cancellare. Il fenomeno religioso non si è mai spento definitivamente, semplicemente si era trasformato, prendendo altre figure e forme.
2. La secolarizzazione come declino della religione è una «eccezione» europea. Non è una conseguenza diretta della modernità. Non la si riscontra in altre culture fuori dall’Europa.
3. Infine, ma forse è l’elemento più importante, il pluralismo delle forme religiose che proprio dalla modernità prendono visibilità, sono il segno di una sorprendente rinascita del religioso. Fenomeno presente in tanti paesi che non hanno conosciuto il declino del religioso (vedi l’Asia, le Americhe, l’Africa stessa), ma anche in Europa, la patria della secolarizzazione.
Questi fenomeni, in se contrastanti, indicano la difficoltà con cui oggi ci si trova a fare i conti se si vuole comprendere il ruolo che la religione assume nella società contemporanea.
Non voglio dilungarmi, ma elencare, a mo’ di titoli, alcuni suggerimenti e riflessioni che si possono condividere.
IMPATTO DELLA RELIGIONE NELLA SFERA PUBBLICA
Il primo dato che si può subito rilevare è il contributo positivo delle religioni allo spazio pubblico; a) esse (le religioni) offrono una forte capacità alla motivazione di uno scambio solidale (pensiamo all’idea di fratellanza, che porta alla condivisione, presente in tutte le forme di religione); b) un significativo supporto pre-discorsivo (pre-politico) delle norme di valore e delle regole della vita sociale (pensiamo al valore della famiglia, del lavoro, e così via); c) una risposta di «senso» per la vita individuale e collettiva (anche qui, possiamo sottolineare in primis il rispetto che tutte le religioni hanno per la vita), difficilmente sostituibile; d) non solo, ma anche un preciso substrato di identità individuale e collettiva (che sia culturale, etnica, nazionale, sovranazionale o universalmente umana).
A fronte di questo aspetto decisamente positivo, è da rilevare il rapporto di tensione tra sfera religiosa e sfera giuridico-politica, che ne impedisce la coincidenza e determina così una serie di contrasti assai rilevanti per tutta la dimensione pubblica della società.
È il problema della libertà religiosa, sia essa espressa nella struttura organizzata delle religioni, sia nella espressione di libertà individuale (ma non entriamo in questo altro campo di discussione, perché ci porterebbe molto lontano) e il diritto di componenti della collettività di non riconoscersi in alcuna espressione religiosa.
Da qui la domanda: come garantire il diritto inalienabile alla singola espressione religiosa, e il diritto di tutti di sentirsi garantiti in uno spazio comune, dove non ci siano imposizioni e restrizioni a partire da particolare credenze religiose, ma una comune condivisione di valori accettabili?
Mi permetto di richiamare alcuni passaggi del discorso alla città fatto dall’Arcivescovo Scola in occasione dell’apertura dell’anno sociale del 6 dicembre 2012, che aveva per titolo: L’EDITTO DI MILANO: INITIUM LIBERTATIS, dove, in occasione del XVII centenario dell’Editto di Milano del 313 d.C. (313 – 2013, IVe XXI secolo), riproponeva il tema della «Libertà religiosa» come tema centrale in una società plurale e secolare. Diceva l’Arcivescovo, mettendo subito a tema la questione fondamentale: Anzitutto il tema della «libertà religiosa», che a prima vista suscita un consenso molto ampio, possiede da sempre un contenuto tutt’altro che ovvio. Si impiglia, infatti, in un nodo alquanto complesso, in cui si intrecciano almeno tre gravi problemi: a) il rapporto tra verità oggettiva e coscienza individuale, b) la coordinazione tra comunità religiose e potere statale e c) dal punto di vista teologico cristiano, la questione dell’interpretazione dell’universalità della salvezza in Cristo di fronte alla pluralità delle religioni e di mondovisioni (visioni etiche «sostantive»).
Il modello al quale la società civile si è ispirata, seguendo sempre il Discorso dell’Arcivescovo, per affrontare questa questione (la libertà religiosa), è quello francese della Laicità dello Stato (la laicité), che è sempre apparsa come la risposta adeguata a garantire una piena libertà religiosa, specie ai gruppi minoritari. Dice l’Arcivescovo: Esso si basa (il modello francese) sull’idea di in-differenza, definita come «neutralità», delle istituzioni statali rispetto al fenomeno religioso e per questo capace di costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti. Ma, prosegue l’Arcivescovo, l’idea stessa di «neutralità» si è rivelata assai problematica, perché essa non è applicabile alla società civile la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla. Ecco il punto fondamentale: Lo Stato deve garantire la libera iniziativa della società civile, governando i fenomeni che in essa si presentano e non tentando di gestire, anche a fin di bene, le libere iniziative dei componenti la società civile stessa.
Neutralità della funzione pubblica dovrebbe significare garanzia da parte dello Stato, in maniera democratica, affinché tutti abbiano la possibilità di esprimere e di manifestare la propria identità religiosa. Così sarebbe allora da intendere l’in-differenza: non discriminazione, non diversità, non differenza appunto.
Ma, non siamo ingenui, a questo punto si inserisce un tema altrettanto importante e fondamentale: quello della formazione e dell’educazione alla convivenza civica.
Riporto il pensiero di uno dei maggiori filosofi tedeschi viventi, Junger Habermas: La formazione dell’opinione e della volontà nella sfera pubblica democratica può funzionare solamente se i cittadini soddisfano determinate attese circa la civiltà del loro comportamento anche al di la di profonde divergenze in materia di fede e di visioni del mondo (in: Tra scienza e fede, Ed. Laterza, Roma-Bari 2006, VIII). Dunque, grande responsabilità di coloro che sono chiamati a governare il bene comune, lo Stato, ma anche responsabilità dei cittadini, dei credenti, che riconoscono nello spazio pubblico la possibilità di una convivenza possibile. Qui si apre il campo per il compito educativo e di formazione, specifico delle religioni.
Proprio perché stiamo parlando di religione nello spazio pubblico di una società multiculturale e plurale, introduco, come elemento positivo del dibattito la parola e il concetto di TOLLERANZA.
Tutti conosciamo la genesi di questo termine: esso nasce in ambito religioso (attorno ai secoli XVI – XVII a seguito della Riforma protestante) come limite dell’altrui credenza e come accettazione o rifiuto della diversità. Non c’è inclusione senza esclusione. Solo condividendo si assolve alla vera tolleranza (Goethe, Francoforte 1749, Weimar 1832, poeta, drammaturgo, scrittore tedesco).
Termine, questo, che mi permette di richiamare il concetto sopra espresso, quello di neutralità, inteso come garanzia che lo Stato deve offrire a tutti di potersi esprimere per il bene comune. Ancora Habermas: L’imparzialità delle ragioni per l’accettazione o il ripudio dell’altro viene assicurata da una procedura inclusiva di formazione della volontà che richiede agli interessati il vicendevole rispetto e la reciproca assunzione di responsabilità. A ciò corrisponde un invito alla neutralità dello Stato, in maniera da offrire poi il fondamento normativo per la generalizzazione dei diritti religiosi in diritti culturali (Cit., p. 157).
Mi sembra questo un passaggio importante, perché ci fa compiere un passo in avanti. La condivisione passa attraverso la fatica di far diventare cultura (vita vissuta, vita vera) la propria credenza religiosa. Nell’altro, noi dobbiamo rispettare il concittadino anche quando riteniamo il suo pensiero errato, e il suo corrispondente modo di vivere infelice. La tolleranza impedisce che una società pluralista venga dilaniata, come comunità politica, da conflitti tra visioni del mondo.
[Voltaire: Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire].
Creare un minimo comune denominatore di spazio comune condivisibile, perché si esprima in cultura partecipata, significa che la forma di vita prescritta dalla propria religione, o l’ethos inscritto nella propria immagine del mondo, si può praticare solo a condizione che vi siano pari diritti per tutti.
Sicuramente il campo di riflessione e discussione è aperto, nostro compito è quello di essere attenti osservatori dei movimenti epocali che stiamo vivendo. Non giudici dei movimenti stessi. Le religioni hanno sicuramente il compito di garantire uno spazio di riflessione, se non altro perché la realtà, la profondità dalla quale partono è l’intimo dell’uomo, la sua dimensione profonda, non la sua azione e il suo comportamento esterno.
In questa prospettiva è da vedersi il nostro Corso di Storia delle Religioni che da anni svolgiamo a UNIVERSITER e, di conseguenza il Libro che oggi proponiamo come risultato di otto anni (2007-2015) di lavoro comune: Corsisti e insegnante.
I temi trattati sono stati molti: dagli inizi degli Studi sulle Religioni (Studi sulla definizione e sull’origine; studi comparati: preghiera, destino, pellegrinaggio, reincarnazione, apocalittica; al risveglio religioso, con le nuove forme di religiosità), alla rilettura della nascita del Monoteismo. Le tre grandi religioni monoteiste: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, ci hanno permesso di ricomprendere il senso della nostra storia, della cultura nella quale siamo nati, siamo immersi e con la quale ci confrontiamo quotidianamente. Abbiamo poi gettato uno sguardo sulle grandi religioni dell’Oriente: Bubbhismo, Confucianesimo, Taoismo, Shintoismo, per cecare di avvicinarci a un mondo tanto lontano, quanto ormai vicino a noi. Per la prima volta ci siamo accostati alle grandi religioni e culture indigene dell’America Centrale e Meridionale: la religione Azteca e del popolo Maya. L’occasione è stato l’anno 2012, 21 dicembre, dove, secondo la profezia Maya si sarebbe dovuta verificare la fine del mondo. Interessante la scoperta che abbiamo fatto: non fine del mondo, ma fine di un mondo e inizio di un diverso modo di vivere la vita: con più slancio e gusto, senza i vincoli negativi del passato. Un ulteriore tema che ci ha affascinato è stata la scoperta di «altre» forme di religiosità presenti nella nostra realtà: le cosiddette Nuove Religioni. Un ultimo sguardo l’abbiamo rivolto al tema dei conflitti e le religioni; dallo Sri Lanka, alla guerra balcanica degli anni ’90; dalla guerra del Ruanda, addirittura tra credenti della stessa fede cristiana, alla Terra santa, con l’uccisione del primo ministro Yitzhak Rabin per mano di un giovane ebreo. (Tema molto attuale, ma ci porterebbe altresì lontano nelle indagini e nelle riflessioni).
Se permettete ancora una parola sul titolo: L’albero, le radici e le fronde.
Ho attinto alla grande tradizione e cultura ebraica quando, per parlare della Torah (la Legge, l’Insegnamento, il Pentateuco), usa l’immagine dell’Albero, dell’Albero della vita. L’albero ha le sue radici nel Tetragramma sacro JHWH, il nome divino impronunciabile, dal quale prende linfa vitale. Proprio perché impronunciabile, in esso si trova la possibilità di dire il nome di Dio con espressioni propri nelle varie forme che l’uomo riesce a immaginarsi. Le fronde sono la bellezza stessa dell’albero, la sua manifestazione di rigogliosità e di crescita. In questo senso parliamo di ricerca continua.
Il libro non porta la Conclusione, classica per ogni lavoro che si rispetti. L’ho fatto di proposito: il lavoro continua con la nostra capacità di riflessione, e il coinvolgimento di chi desidera condividere un fenomeno tanto grande quanto affascinante: la Storia delle Religioni.
Prima di chiudere, un doveroso GRAZIE a tutta UNIVERSITER per l’incoraggiamento e il sostegno a pubblicare il Libro.
Grazie per l’attenzione!


